La temperatura percepita: i difetti di un indice poco scientifico che fa notizia
Malgrado se ne faccia un uso indiscriminato e ne siano piene le prime pagine dei quotidiani nazionali e dei portali d'informazione online, la “temperatura percepita” non esiste. Quantomeno non come ci viene propinata.
«Meteo: caldo record, 50 gradi percepiti in Sardegna, 49 a Napoli»: in occasione di una delle ondate di calore più importanti degli ultimi decenni in Italia, addirittura da record al Centro-Nord, la cronaca ha di fatto sostituito le temperature effettive – quelle misurate ufficialmente da apposita strumentazione e nel rispetto degli standard internazionali – con i valori teorici di un indice calcolato tramite un algoritmo arbitrario. E per questo assai lontano dai crismi della scienza.
Nella giornata di ieri, la stazione meteorologica di Napoli, gestita dall'Aeronautica Militare, ha registrato una temperatura massima di 37°C e nel pomeriggio odierno, con ogni probabilità, la colonnina di mercurio subirà un ulteriore incremento. Al lettore giungono due informazioni assolutamente contrastanti: i gradi, dunque, sono trentasette o quarantanove? E' la differenza che intercorre tra una città che si affaccia sul Mar Tirreno e una località posta nel cuore del Sahara.
Proviamo a fare chiarezza sulla questione. Le temperature vanno misurate strumentalmente tramite dei termometri appositamente schermati dalla radiazione solare da una capannina meteorologica o da uno schermo solare a piatti. Il rilevamento deve avvenire in spazi aperti, lontani da ostacoli, e ad almeno due metri di altezza da un suolo preferibilmente erboso o quantomeno riflettente. Le norme WMO sono necessarie per disporre di dati quantopiù omogenei a scala mondiale e pertanto confrontabili nello spazio e nel tempo.
La “temperatura percepita” è, invece, un parametro soggettivo. Nacque da un'intuizione del Dr. Robert Steadman, che rilevò come i malori fossero più frequenti in caso di umidità elevata. Considerando i valori di temperatura effettiva e di umidità, egli ideò una formula empirica (Apparent Temperature, 1979) che segnalava un valore critico oltre il quale si aveva disagio o addirittura pericolo. Quell'indice, interpretato ad hoc a scopi sensazionalistici, è oggi la fonte della disinformazione estiva e contribuisce ad alimentare la spettacolarizzazione della meteorologia. Un fenomeno che ricorda l'ampio risalto offerto alle temperature registrate dai termometri delle farmacie e delle automobili ferme al sole.
Premessa: è fuori dubbio che il corpo umano, in condizioni di alta temperatura, tenda a percepire maggiore disagio fisico con l'incremento dei tassi di umidità. La motivazione è semplice: il nostro corpo usa l’evaporazione dei liquidi presenti sulla pelle per raffreddarsi, qualora ce ne sia bisogno. Infatti la temperatura corporea ha limiti abbastanza stretti entro i quali può variare sia verso il basso che verso l’alto. Ma l’evaporazione avviene in modo più consistente ed efficace se l’aria è secca, o poco umida.
Questa evidenza, tuttavia, è lontana dall'interpretazione conferita alla temperatura percepita: sulla base di quale criterio oggettivo è possibile affermare che a Catania la popolazione percepisca esattamente 50°C benché – termometri alla mano – ve ne siano dieci in meno? La percezione del caldo e del freddo è uguale per ogni individuo? E' possibile trascurare lo stato psicofisico, la statura, il peso, il sesso e l'età? E ancora, l'incidenza dei raggi solari, la copertura nuvolosa e il vento?
Per un quadro certamente più scientifico e scevro da sensazionalismo, è più opportuno riferirsi all'indice di disagio (Thom Discomfort Index, 1957). Sulla base della relazione tra la temperatura di bulbo umido e quella di bulbo asciutto, vengono distinti essenzialmente sei campi a differenti condizioni di disagio corporeo per intensità e popolazione coinvolta. Controindicazione: nessun numero altisonante, nessuna temperatura fittizia da proporre a quattro colonne insieme all'anticiclone Lucifero.
© MeteoEtna.com | 2 agosto 2017